Parlarne ormai è di moda. Su di lei si è detto e scritto di tutto. È stata (ed è tuttora) oggetto di studio di svariate discipline, dalle neuroscienze all’economia, passando per la filosofia. C’è addirittura chi, come Jeremy Rifkin, rileggendo la storia delle vicende umane conclude che con l’avvento dell’era dell’informazione siamo ufficialmente entrati nella civiltà dell’empatia.
Insomma, l’empatia è un concetto-prezzemolo: sta bene un po’ con tutto e gode di un ottimo consenso sociale. Eppure credo che dovresti smettere di usarla.
L’empatia fa parte delle cosiddette life skills, promosse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Si tratta di 10 abilità/competenze fondamentali che è necessario apprendere per entrare in relazione con gli altri e far fronte positivamente ai problemi e agli stress che la vita quotidiana presenta.
L’empatia è definita come una capacità chiave che ci consente di comprendere gli altri, mettendoci nei loro panni. Un’esperienza che, in una certa misura, appartiene a tutti gli esseri umani, come ha dimostrato il ricco filone di ricerca sui neuroni specchio.
Dall’empatia…
L’empatia dunque è un modo di comunicare nel quale io metto (apparentemente) in secondo piano il mio punto di vista sulla realtà, per cercare di far risuonare dentro di me le TUE esperienze e sensazioni, ovvero il TUO modo di percepire la realtà.
La quintessenza dell’ascolto e del rispetto per le altrui differenze, dunque? Ni. L’empatia nasconde alcune insidie. Quando la eserciti non fai altro che isolare e decontestualizzare alcuni tratti dell’esperienza dell’altra persona per comprenderla in base alla tua esperienza, quindi mantenendo valido e usando come metro il tuo contesto di riferimento.
In altre parole, fingi di metterti nei panni dell’altra persona, ma all’ultimo momento la prendi e la scaraventi nei tuoi panni.
Non è carino da parte tua. Ecco perché credo che dovresti abbandonare l’empatia. Non facciamo però l’errore di buttare il bambino con l’acqua sporca. Ti propongo di adottare un nuovo atteggiamento, che mantiene tutta la carica positiva dell’empatia correggendone qualche difetto. Questo stile di comunicazione si chiama exotopia.
…all’exotopia
L’exotopia, o extralocalità, è una tensione dialogica in cui l’altro è riconosciuto come portatore di una prospettiva autonoma, altrettanto sensata della nostra e non riducibile alla nostra.
L’exotopia si attiva quando, dopo aver cercato di metterti nei panni dell’altra persona, capisci che non ti vanno bene. Sono troppo larghi, o troppo stretti, il colore e lo stile non ti appartengono.
Grazie a quei panni così diversi prendi coscienza dei tuoi e capisci che entrambi gli stili d’abbigliamento hanno pari diritto di esistere, pur nella loro (più o meno profonda) diversità.
L’exotopia quindi è un processo di gran lunga più complesso dell’empatia. Come l’empatia richiede lo sforzo di decentrarsi rispetto al proprio punto di vista sulla realtà, senza forzare l’altra persona ad entrare nei nostri schemi e senza perderci nei suoi.
L’invito è a rimanere centrato e aperto: consapevole della particolare finestra da cui guardi il mondo (i tuoi panni) – una delle tante possibili! – e disponibile ad accogliere ciò che l’altra persona sta portando nella relazione con te (i suoi panni).
L’exotopia, in definitiva, altro non è che l’arte di costruire ponti. Per far dialogare idee, persone o addirittura culture. A te la scelta! ;-)
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Foto di Hana Pesut
PER APPROFONDIRE
Michail Bachtin, L’autore e l’eroe, Einaudi, 1988.