Chi le ha sperimentate le descrive come uno strumento potente, capace di aprire spiragli sul proprio passato personale e familiare, puntando la luce della consapevolezza sui “segreti” che ereditiamo dal nostro albero genealogico. Segreti che, fino a quando rimangono nell’ombra, provocano sofferenze di cui spesso ignoriamo l’origine.
Da qualche tempo sono entrate anche nelle organizzazioni lavorative, per aiutare le persone a (ri)trovare i “perché” profondi che le tengono insieme e che danno senso al loro lavoro.
Sto parlando delle costellazioni familiari e sistemiche e della loro versione organizzativa, le cosiddette costellazioni organizzative e manageriali.
Cosa sono? Come funzionano? In quali ambiti possono essere applicate? Con quali risultati? L’ho chiesto a Enrico Giraudi, counselor e costellatore. Un passato da manager della comunicazione, poi il passaggio alla libera professione. In mezzo, il counseling e le costellazioni.
L’intervista è stata così ricca che ho scelto di dividerla in due parti. Inizio dalla prima, dedicata alle costellazioni familiari. Pubblicherò la seconda nel prossimo post, che approfondirà il tema delle costellazioni organizzative.
A te la parola, Enrico!
Enrico, tu sei counselor e costellatore. Per cominciare, mi racconti cosa sono le costellazioni familiari e sistemiche?
Le costellazioni familiari sono una metodologia scoperta più di 20 anni fa dallo psicanalista e pedagogo tedesco Bert Hellinger. Sono una modalità per rappresentare in maniera “tridimensionale” i sistemi della nostra vita: il sistema della famiglia d’origine (io, mio padre, mia madre, mia sorella, mio fratello, i miei nonni…), il sistema della famiglia attuale (il tema della coppia), il sistema lavorativo (l’organizzazione in cui lavoro), ma anche i sistemi astratti; per esempio, il rapporto fra me stesso, i miei sogni, gli ostacoli che sento nel realizzarli e le risorse che possono aiutarmi a superare le difficoltà. Quindi, riassumendo, la costellazione familiare è una modalità rappresentativa che assomiglia molto a una rappresentazione teatrale, con una differenza sostanziale: le persone che partecipano non recitano una parte precostituita, ma esprimono semplicemente ciò che sentono a livello corporeo ed emotivo.
La costellazione offre alla persona che porta un tema su cui vuole lavorare – rispetto al quale può essere confusa o non abbastanza consapevole – l’opportunità di vedere rappresentato fuori di sé, in maniera ordinata, ciò che dentro di sé è confuso e mischiato.
Qual è il ruolo del costellatore?
Capire, rispetto al problema portato, quali sono gli elementi che lo costituiscono per poterli rappresentare in maniera manifesta, rendendoli osservabili.
Dicevi che la persona che partecipa a una costellazione non recita un ruolo ma agisce come sente in quel momento. Alcuni critici, per sminuire questa tecnica, la bollano come “magia”. Mentre altri, in difesa, citano anche le recenti scoperte della fisica quantistica. Rispetto a questi due poli, tu come ti poni?
Mi pongo al centro con un certo sbilanciamento a favore (ride). Personalmente le ho viste lavorare a diversi livelli e la cosa che apprezzo di più è che funzionano senza che il cliente esegua alcun atto di fede. Ci sono tre livelli di funzionamento.
Il primo livello è la loro capacità di consentire al cliente di fare uno zoomback rispetto alla propria vita. È un po’ quello che succedeva con la commedia greca: se vedi rappresentato un grande tema – ad esempio il rapporto con IL padre – già il solo fatto di osservarlo ti consente di diventare più consapevole del rapporto che hai avuto tu con tuo padre e di attivare un processo di trasformazione interiore.
Questo è il livello base delle costellazioni. Di solito chi non sopporta riferimenti al piano transpersonale (ad esempio, all’inconscio collettivo già teorizzato da Jung), già da questo primo livello di “operatività” del metodo trae molti e concreti benefici.
Dicevi però che ce ne sono altri due…
Esatto. C’è poi un secondo livello, che non è affatto esoterico. Anche perché credo che non ci sia nulla di esoterico nelle costellazioni familiari. Ed è il livello a cui lavora una capacità che tutti noi abbiamo: la percezione rappresentativa. Praticando le costellazioni scopri infatti che ciascuno di noi ha la capacità di mettersi nei panni di un altro individuo. Il riferimento è agli studi di Rupert Sheldrake, biologo che ha teorizzato l’esistenza di un campo di informazioni comune che ogni specie condivide: il campo morfogenetico. Sheldrake ha osservato che prendendo un gruppo di scimmie isolate dal resto della loro specie e insegnando loro una nuova capacità, con il tempo questa nuova “competenza” veniva spontaneamente sviluppata dagli altri gruppi di scimmie che mai erano entrati in contatto con il primo gruppo. Quello che si osserva durante un lavoro costellativo è esattamente lo stesso fenomeno: individui che non si conoscono – posti in una determinata conduzione – sono in grado di entrare nei panni di altri individui dal punto di vista emotivo, sensoriale e sentimentale.
E come ci riusciamo?
Il nostro inconscio è come la tastiera di un pianoforte, che possiede e conosce tutte le note. La vita di ognuno di noi è come una sinfonia o un genere musicale. Ognuno suona la sua. Ma dentro di noi conosciamo la musica e le sue basi ed è per questo che riusciamo ad entrare in sintonia con le sinfonie esistenziali di tutti gli altri.
Come esseri umani possediamo questa capacità. E si attiva attraverso il corpo. Per “accenderla” abbiamo bisogno che qualcuno ci posizioni in uno spazio al quale corrisponde un “ruolo” specifico (un padre, una madre, un figlio) e da quel momento questa capacità viene attivata. Mi sento dunque di testimoniare che quando lavori con le costellazioni hai la sensazione che tutti quanti siamo collegati fra noi, che facciamo parte di una sorta di grande internet umano, e le sessioni costellative sono quasi sessioni di download.
Poi c’è un terzo livello.
Il terzo livello è quello che mi ha fatto innamorare delle costellazioni; è il misterioso livello transpersonale.
Conducendo le costellazioni impari ad osservare la presenza di un’ordine naturale che regola le nostre vite, un’ordine di livello più alto rispetto alla nostra etica e alla nostra morale personale e collettiva. La cosa più affascinante è la forte percezione che questo ordine possieda una propria intelligenza. Che tende a riportare i sistemi umani verso un equilibrio.
Un’ordine, un’intelligenza estremamente equa ed equilibrata ma anche severa e disciplinata. Spesso questi ordini più alti – che vedi funzionare ed operare con tale efficacia nel rimettere in ordine i sistemi familiari – esprimono regole che mettono alla prova i nostri abituali modi di pensare e di ragionare eticamente: ad esempio “mai perdonare un colpevole perché l’unico modo di aiutarlo è permettergli di pagare pienamente il prezzo delle sue azioni” oppure “all’interno della coppia, mai dare all’altro più di quanto quest’ultimo sia in grado di restituire”. Quando conduco una sessione costellativa mi capita spesso di percepire la presenza di questo ordine intelligente, di fronte al quale viene naturale offrire il proprio inchino. E qui mi fermo. Che è meglio! (ride)
Come dicevo all’inizio, tu sei sì un costellatore ma sei anche un counselor. Qual è la marcia in più, se c’è, che ti dà essere counselor?
La marcia in più c’è senza dubbio nella prima fase della costellazione, quando fai l’intervista al tuo cliente. Questo momento è molto importante perché è così che estrai le informazioni oggettive, i fatti della vita della persona relativi al disagio o al tema che sta portando. Saper fare delle buone domande, che è una parte importante del mestiere di counselor, ti aiuta tantissimo. C’è da dire che le buone scuole di costellazioni ti insegnano a fare anche questo, ma chiaramente se hai delle “ore di volo” come counselor sei avvantaggiato.
Quindi il saper fare buone domande…
Non solo. C’è anche una seconda marcia in più: io ho seguito una scuola di counseling ad orientamento transpersonale, che prevedeva moltissimo lavoro rispetto alla “modalità” di ascolto del cliente.
È fondamentale imparare ad usare le proprie risorse empatiche (vedi le recenti scoperte sui neuroni specchio), per entrare in risonanza con il cliente e percepire qual è il “sapore” del problema, al di là delle parole con cui il cliente si racconta.
E qui essere counselor ti aiuta tantissimo. Più vado avanti e meno ascolto quello che il cliente dice con le parole. Cerco piuttosto di sintonizzarmi intuitivamente con il sapore di cui è portatore. Ogni tanto senti il sapore della vergogna di un bambino, talvolta emerge la sensazione di una grande rabbia, altre volte dell’ abbandono… ascolti le sue parole e intuisci che il cliente ti sta parlando di queste cose, però lo fa partendo da miglia di distanza.
La chiave, nella scelta di come impostare il modello di costellazione, per me è unire all’informazione cognitiva la sensazione di fondo – il sapore – del problema del cliente.
E se hai fatto una buona scuola e “ore di volo” come counselor, questo aiuta tantissimo. Come si dice in ambito terapeutico, mai seguire il cliente sul lago ghiacciato… ma fidarsi soprattutto della propria intuizione. Perché il cliente si presenta da te sempre accompagnato dal proprio “gemello”: quello che vorrebbe far fallire l’incontro con il counselor…
Quando ci siamo sentiti per accordarci sull’intervista, mi avevi accennato a una cosa che accade al costellatore. Mi aveva incuriosito molto.
Mentre la costellazione avviene, ho notato che questa si svolge in maniera tanto più potente quanto più il costellatore si mette in un atteggiamento di umiltà e rispetto. In una parola, di “sottomissione” al sacro. Quando inizi a fare pratica ci metti molto ego, sei spesso troppo interventista, hai già uno schema in mente di cosa deve succedere e – atteggiamento tipico sia del counselor che del costellatore alle prime armi – vorresti quasi portare la costellazione verso l’happy ending che piacerebbe a te. Man mano che vai avanti ti rendi conto però che questo processo funziona tanto meglio quanto più togli le mani dalla barra del timone e rimani in un atteggiamento di grandissima umiltà, dando fiducia agli sconosciuti rappresentanti che stanno aiutando la persona che ha portato il tema/problema. Se riesci a fare questo, la costellazione esprimerà al massimo il proprio potenziale.
Leggi la seconda parte dell’intervista, dedicata alle costellazioni organizzative! :-)