“Siamo una grande famiglia”.
Nella mia esperienza in organizzazioni (profit e non profit) di vario tipo mi è capitato molte volte di sentir uscire queste parole dalla bocca di un amministratore delegato, di un presidente, di un/una responsabile di area o di un collaboratore.
E la metafora non è affatto campata per aria, anzi.
L’equivalenza organizzazione lavorativa = famiglia regge piuttosto bene; alcune dinamiche infatti sono molto simili.
Questione di copioni
Nelle organizzazioni, proprio come nelle famiglie, le persone possono sviluppare dei cosiddetti copioni di vita. Il fondatore dell’Analisi Transazionale, Eric Berne, definisce il copione “un piano di vita che si basa su una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta decisiva”.
Semplificando molto, per garantirsi il rispetto e l’amore dei genitori, il bambino “sceglie” di fare o non fare delle cose, rinunciando a esprimere genuinamente sé stesso. Se nell’infanzia queste scelte inconsapevoli sono funzionali per garantirsi l’amore dei genitori, quando il bambino cresce possono generare comportamenti disfunzionali, che provocano frustrazione o sofferenze all’adulto che le mette in atto.
Il bambino interiorizza le aspettative genitoriali sotto forma di ingiunzioni o spinte, che lo istruiscono su ciò che è bene non fare, in quanto non sarebbe accettato dalla cultura relazionale della famiglia. Eric Berne ne individua 11: non esistere, non essere te stesso, non essere piccolo, non crescere, non riuscire, non essere importante, non appartenere, non entrare in intimità, non stare bene, non pensare e non sentire.
Le regole non dette (e per questo potenti)
Cosa c’entra tutto questo con le organizzazioni? Torniamo per un attimo alla citazione di Berne: se sostituiamo “infanzia” con “giovinezza organizzativa” e “genitori” con “superiori gerarchici”, è facile comprendere come – usando l’analisi transazionale – la metafora che equipara l’organizzazione in cui lavoriamo alla famiglia ci aiuti a leggere meglio alcune dinamiche disfunzionali.
Qualche tempo fa un professionista che lavora in un’azienda che vende servizi – la chiamerò Organizzazione Alfa – mi ha contattato per un confronto. Un recente percorso formativo aveva portato a galla un diffuso sentimento di paura nel personale, nella doppia veste di paura di essere giudicati quando si esprime un’opinione e paura di innescare conflitti. Un bisogno a cui, stando alle interviste somministrate, facevano da contraltare il desiderio di sperimentare una maggiore fiducia nei colleghi, più propositività, il coraggio e la libertà di esprimere sé stessi.
Mentre scorrevo il report è emersa, fortissima, una domanda: possibile che il caso abbia fatto confluire nell’Organizzazione Alfa un numero così grande di persone accomunate dalle stesse paure? Evidentemente una ricorrenza così marcata di sentimenti di paura porta ad escludere che sia frutto di una casualità, rendendo difficile liquidare la cosa come mera responsabilità dei singoli.
Sembra dunque che nella cultura organizzativa dell’Organizzazione Alfa ci siano delle regole non dette – e, proprio perché inconsapevoli, potenti – che prescrivono quale comportamento è utile agire o non agire per avere un riconoscimento da parte dell’organizzazione.
(Ri)costruire i permessi
In analisi transazionale, le regole implicite che emergono analizzando il caso dell’Organizzazione Alfa, come abbiamo visto, si chiamano ingiunzioni o spinte. Delle 11 individuate da Berne, qui è possibile rintracciarne 4: non essere te stesso, non essere importante, non pensare e non sentire. In risposta a queste spinte, l’atteggiamento più diffuso è l’adozione di comportamenti compiacenti, che finiscono per andare a nutrire un clima di armonia artificiale.
Sembra dunque che nell’Organizzazione Alfa le persone fatichino a darsi un permesso fondamentale: il permesso di essere ciò che sono, sé stessi.
A questo punto, una buona domanda potrebbe essere: come si possono creare, nella pratica lavorativa quotidiana, le condizioni perché questo permesso possa mettere radici?
Come si fa a favorire il passaggio da una leadership di tipo fortemente verticale (fondata sulla dipendenza) ad una di tipo orizzontale (centrata sull’alleanza)?
Gli ingredienti della seconda sono la proattività, una maggiore condivisione delle responsabilità, una migliore circolazione delle informazioni (trasparenza), un aumento della comunicazione e un maggiore scambio di opinioni (coraggio di esprimersi).
Essere il cambiamento. Ogni giorno.
Una buona idea è una buona idea, a prescindere dai gradi sulla casacca. Più facile a dirsi che a farsi.
Questo passaggio comporta un salto quantico per la cultura organizzativa dell’Organizzazione Alfa, che passa attraverso il comportamento. La prima cosa da fare dunque è individuare – attraverso un percorso che coinvolge tutto il personale – una serie di comportamenti-ponte, in grado di avvicinare il più possibile la cultura organizzativa al futuro desiderato.
Una buona domanda per aiutare le persone a individuarli è questa:
cosa posso fare io, già a partire da domani mattina, per realizzare nel concreto lo scenario che desidero?
L’ideale è invitare ciascuno a mettere il comportamento individuato nero su bianco e a firmarlo, per rendere l’impegno ancora più solido. Una volta individuati i comportamenti, ovviamente vanno incoraggiati. È necessario infatti (ri)creare i permessi negati.
Attenzione: le dichiarazioni non sono sufficienti!
A ciascun membro dell’organizzazione, nessuno escluso, è richiesto di essere il cambiamento che desidera veder accadere.
A partire dai piccoli gesti quotidiani.
PER APPROFONDIRE
23 Dicembre 2018
Molto interessante! Vorrei avere maggiori informazioni, e soprattutto sapere se è possibile avere sedute individuali, anche via skype
24 Dicembre 2018
Grazie Stefania, sono felice che abbia apprezzato il mio articolo.
Prima di risponderle ho bisogno di comprendere meglio le sue esigenze, le scrivo subito dopo Natale.
Grazie ancora e a presto!