La parola “skam” in norvegese significa peccato, vergogna.
E chi, da adolescente, non si è mai vergognato di qualcosa che ha fatto o che ha detto?
O, ancora, che è stato detto nei suoi confronti, rimuginando per ore, giorni, mesi su frasi che sono sembrate ingiuste o sbagliate, su decisioni mai prese, su azioni compiute di getto, anche solo per dare fastidio o gridare con forza un “Lasciami stare, lasciami libero, lasciami piangere, lasciami ridere!”.
Skam è anche il titolo di una serie televisiva sull’adolescenza che nel 2015 ha letteralmente spopolato prima in Norvegia e poi, nel 2019, anche in Italia, grazie ad un remake con protagonisti i ragazzi di un liceo romano.
L’adolescenza come il dolce di Alice nel paese delle meraviglie
Ho iniziato questa serie, come sempre faccio, per portare avanti il tentativo ironico di “guardare il mondo” anche con gli occhi dei ragazzi che incontro ogni mattina in classe.
Skam racconta di Eva, Giò, Martino, Eleonora, Edoardo, Sana e altri ragazzi la cui vita scorre dentro l’adolescenza, età capace di essere magica come il dolce di Alice nel paese delle meraviglie:
con un morso le cose grandi diventano piccole e con un altro le cose piccole diventano enormi.
Così, a sedici anni, un messaggio mai ricevuto, una materia da recuperare a scuola, una festa a cui non si è invitati, un fidanzato che prima stava con la nostra migliore amica diventano gli strumenti attraverso cui si cresce e si diventa uomini e donne.
L’amicizia
Sinceramente, questa serie “mi ha proprio presa”, per dirla come la direbbero i miei studenti.
Le tematiche che ti vengono letteralmente sbattute nella tua faccia di adulto fin troppo inconsapevole sono davvero tante e alcune parecchio dure da digerire.
La più importante, quella che le lega tutte e dà un bel po’ di speranza, è l’amicizia, l’imparare a fidarsi di poche ma importanti persone, mettendole alla prova, donandosi con cura alle loro attenzioni.
Ad un certo punto della serie, Martino, uno dei protagonisti che si scopre gay dopo un periodo molto travagliato, si rivolge allo psicologo scolastico per “insonnia”. “Dormo poco – dice il ragazzo a quell’adulto così diverso da lui – e non c’è un motivo e non ne voglio parlare. Sono qui per avere un sonnifero”.
Dopo poche battute, lo psicologo gli fa fare un esercizio con il corpo. Fa appoggiare le spalle di Martino alle sue e gli chiede di rilassarsi. Poi, si scansa e Martino cade. “Lo vedi Martino? L’unico modo per riposarsi quando si è stanchi è chiedere agli altri di dividere il peso e magari ci possiamo anche fidare… Hai un amico? Parlagli”.
Le droghe e l’alcol, troppo facile
Un altro tema, enorme, gigantesco tra le pieghe della serie: le droghe. Tanto frequenti e purtroppo realistiche le scene dove i ragazzi ne fanno uso (ricordiamo che le statistiche del 2019 parlano chiaro: il 10% degli incidenti è causato da alcol e droga, con il 5% di incidenti mortali in più rispetto al 2018).
Ho sentito una grande preoccupazione (a tratti paura) per la “liquidità” con cui circolano le sostanze nella serie e si interagisce con il sesso, l’identità sessuale e il proprio corpo, vis a vis e nel web.
Quotidiana l’assunzione di marjuana da parte di molti ragazzi della serie, presa con la naturalezza del “si fa così” la questione dell’alcol alle feste, a cui si sommano le abitudini alimentari pericolose.
Non è una serie per stomaci sensibili…
Questa serie non è per adulti dallo stomaco sensibile, né per adulti che invece che farsi delle domande su come cambiare le cose hanno la tentazione di scappare dicendo: “Dai, è solo una serie… e poi, questi giovani sono fuori controllo”.
Se guarderete Skam con questi occhi, occhi giudicanti, vedrete proprio ciò che vorrete vedere: giovani fuori controllo e niente più.
Giovani che a sedici anni hanno già fatto sesso da un po’, che mentono per andare alle feste nei fine settimana, che danno informazioni con il contagocce perché vivono nella loro bolla.
La sceneggiatura di questa serie è il risultato di centinaia di interviste fatte a ragazzi dai 16 ai 18 anni.
Tenetelo presente e non scappate dalle vostre responsabilità, se possibile. C’è anche tanto bello da vedere in questa serie: la spontaneità, la gioia, la coesione, che solo in quegli anni è così palpabile ed evidente in gesti e parole. Perché deferenza e contegno sono categorie ancora parzialmente sconosciute agli adolescenti.
E gli adulti? I grandi assenti della serie
Ecco, appunto. Neanche a dirlo, i grandi assenti di questa serie siamo proprio noi: genitori, insegnanti, adulti, educatori.
Tutto ciò che sfugge di mano parte dalla nostra assenza, e non certo dalla loro voglia di evadere o delinquere.
Assenza perché è faticoso esserci senza invadere, assenza perché l’obiettivo non deve essere il proprio riconoscimento o la propria gratificazione di adulto che dice come si fanno le cose per bene ma, al contrario, la condivisione autentica di minuti, ore, giorni.
Assenza perché, a volte, c’è presenza senza ascolto.
Prima di chiudere, una nota tecnica da amante del cinema: format vincente e innovativo, riprese più che realistiche, personaggi ben costruiti partendo dalla spontaneità senza filtri dei sedicenni di oggi.
Insomma, da vedere!
11 Aprile 2020
Concordo , noi l’abbiamo vista tutta d’un fiato , come leggere uno di quei romanzi freschi e scorrevoli da cui non riesci a staccarti. A conti fatti il ritratto che ne esce è quello di giovani che, nonostante l’invasione dei mondi social virtuali, desiderano vivere pienamente la vita, gli amori , l’amicizia. Con quel pathos a volte accecante che forse solo l’adolescenza conserva intatto.
11 Aprile 2020
Non avrei saputo dirlo meglio. Grazie Eva!