Ho letto Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé – della psicoterapeuta Alice Miller – parecchio tempo fa, quando ho accompagnato alcuni insegnanti in un percorso formativo e di tutoraggio rivolto alle strategie didattiche da preferire per i cosiddetti gifted, i bambini ad alto potenziale.
No, questo libro non parla di talenti particolari, di intelligenze multiple, di diagnosi della plusdotazione o di strategie didattiche per scongiurare la noia e la disattenzione degli studenti gifted.
Mi è stato consigliato per avere una più ampia cornice di riflessione sull’attivazione dei bambini rispetto ai bisogni inconsci degli adulti, genitori o insegnanti che siano.
Questa appassionante lettura, ricca di storie e situazioni concrete, mi ha aiutato nel comprendere che
una cosa perfetta non è sempre una cosa buona se per realizzarla l’adulto si sostituisce al bambino o gli chiede di uniformarsi ai suoi bisogni, desideri e riferimenti.
Faccio un esempio banale. È molto importante comunicare ai bambini che studiare e fare i compiti è importante ed è un’attività necessaria. Il punto sta, come sempre, non sul cosa ma sul come. Non sul risultato ma sul processo, direbbe John Dewey.
Se chiediamo il meglio, che sia il meglio di quel particolare bambino e non il nostro meglio.
È da preferire un disegno colorato ogni giorno in modo più preciso a un disegno colorato da mamma o dall’insegnante. In fondo lo sappiamo bene, come si può imparare senza migliorare a piccoli passi grazie alla pratica?
Leggendo Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé ho rafforzato la consapevolezza che il prezzo psicologico che si paga per “ottenere un bravo bambino” riguarda tutti i bambini e, più ancora, riguarda gli adulti che quei bambini diventeranno.
Ricordo che è stato sul mio comodino per non più di tre notti. Come non mi capitava dai tempi del liceo e dalle letture filosofiche di certi autori che adoravo, ho letteralmente divorato ogni singola pagina.
E la cosa più bella è che ogni singola pagina mi ha profondamente cambiata.
Meglio, ha trasformato di un altro (bel) po’ il mio sguardo sulle relazioni umane, sulle mille e una sfumature di sofferenze e fragilità a cui non sappiamo dare un nome né un’origine, eppure sono spesso con noi e ci accompagnano dall’infanzia.
In queste pagine Alice Miller collega i bisogni inconsci degli adulti alle modalità di attivazione dei bambini, dandoci un quadro molto chiaro sugli adulti che questi bambini diventeranno, imparando a tacere sentimenti spontanei come rabbia, paura o invidia, perché inaccettabili dal “mondo dei grandi“.
È questo il “dramma del bambino dotato”, che coglie i bisogni inconsci dei genitori e vi si adatta.
I piccoli sono così disponibili all’attivazione che questo loro grande e immenso talento rischia di diventare, nelle mani degli adulti, un dono e contemporaneamente un’arma.
Come riuscire a sostenerli nella crescita, pur lasciandoli liberi di esprimere i loro personalissimi talenti?
Un grande tema. La lettura di questo libro vi farà nascere molte domande.
E, come diceva Socrate, nel dialogo del sapere le domande sono sempre dei nuovi punti di partenza.
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